LA TEORIA DELL'ATTACCAMENTO DI BOWLBY E IL RUOLO DELLA FIGURA PATERNA (a cura del dott. Adriano Zenilli)

John Bowlby, (1907 – 1990), psicologo e psicoanalista britannico, a partire dalla fine degli anni sessanta, nell’ambito degli studi sulle relazioni all’interno della famiglia, elaborò una teoria sul legame affettivo fra il bambino e chi si prende cura di lui (caregiver).
Secondo tale teoria esisterebbe nell’uomo una tendenza innata a ricercare la vicinanza protettiva di una figura ben conosciuta, ogni volta che si costituiscano situazioni di pericolo, dolore, fatica o solitudine. Tale idea è confermata dalle osservazioni in ambito etologico sul fenomeno dell’imprinting e sui legami che i piccoli mammiferi costruiscono con i loro genitori e che ne aumentano la probabilità di sopravvivenza (Liotti, 1996).
La Teoria dell’Attaccamento sostiene che anche l’uomo possiede un sistema innato di controllo del comportamento di attaccamento che rende desiderabile la vicinanza protettiva di una figura di attaccamento, soprattutto in condizioni di vulnerabilità, pericolo, affaticamento, dolore o malattia. Tale sistema si attiva quando in tali condizioni sia necessario avvicinare una figura di attaccamento innescando una serie di abilità comportamentali. Quando l’obiettivo è conseguito, il sistema si disattiva. Durante le operazioni del sistema di attaccamento vengono evocate potenti emozioni come modo principale di modulare la richiesta di cura e vicinanza.
Le conoscenze che derivano nel bambino dei primi contatti col genitore e delle sue risposte, contribuiscono a costruire quegli schemi cognitivi su di sé e sul mondo che Bowlby chiama modelli operativi interni. Essi sono in pratica insiemi di ricordi e aspettative riguardanti tanto il Sé del bambino quanto gli atteggiamenti dei genitori in risposta alle sue richieste di vicinanza.
Secondo Lambruschi, Lenzi e Leoni, esiste una stretta interdipendenza fra processi di attaccamento e Sé. La relazione con le figure di attaccamento diventa primaria e prioritaria e non più il mezzo per poter raggiungere altri scopi. La relazione è quindi essa stessa il fine (Mitchell, 1988).
È necessaria la relazione d’attaccamento perché solo all’interno di questo stato di relazione il bambino riesce a sviluppare un sentimento di Sé stabile e coeso. Il comportamento delle figure genitoriali nei suoi confronti costituisce per il bambino la matrice dalla quale egli comincia a percepire ed estrarre informazioni importanti relative a Sé.
A tal fine, caratteristiche di una relazione d’attaccamento significativa sono: l’unicità e l’esclusività della relazione, il genitore guarda, tocca e risponde al bambino in un modo che è assolutamente unico; l’unitarietà, il genitore entra in relazione con tutto l’essere del bambino e non con singole parti di lui; la costanza, il bambino costruisce le proprie rappresentazioni stabili di Sé grazie alla continuità della relazione con le figure di attaccamento.
Mary Ainsworth, una collaboratrice di Bowlby, applicò la Teoria dell’Attaccamento all’ambito della ricerca e arrivò a sostenere che lo schema di attaccamento che un bambino sano alla nascita sviluppa nei riguardi della madre è il risultato del modo in cui la madre lo ha trattato (Ainsworth, 1978). 
Bowlby elaborò delle fasi attraverso le quali la relazione di attaccamento si costruisce. La prima fase, fra gli 0 e i 3 mesi, è quella della regolazione fondamentale fra l’accudimento della madre e gli stati di attività e riposo del bambino in cui i due si sintonizzano sui ritmi di base. In questa fase è la figura di attaccamento che da senso ai comportamenti del bambino fornendogli quello che Stern chiama “senso di Sé emergente”. Perché questo possa avvenire è necessario che la figura di attaccamento riesca a mettersi emotivamente nella posizione del bambino, possa cioè condividere empaticamente. L’esito di questa sintonizzazione si esprime nella prontezza, nell’appropriatezza, nell’intensità e nella completezza della risposta della figura di attaccamento nonché nella sua stabilità nell’esserci. 
La fase che va dai 3 ai 6 mesi è detta di scambio reciproco. Attraverso il sorriso e le vocalizzazioni tipiche dell’età, il piccolo partecipa molto più attivamente alla relazione e struttura uno schema relazionale. Tale fase si manifesta con l’emissione di comportamenti verso i quali il bambino si attende una risposta e dalla comparsa di alcune manifestazioni affettive tipiche come il riso che assume una funzione relazionale.
Tra i 6 e i 9 mesi il bambino è nella fase dell’iniziativa, il bambino dimostra col suo comportamento di aver interiorizzato la relazione con la figura di attaccamento e manifesta la paura dell’estraneo.
Tra i 9 e i 12 mesi compaiono quelli che vengono definiti Modelli Rappresentativi Interni cioè strutture rappresentative di Sé e della relazione. In questa fase è possibile iniziare a osservare i pattern di attaccamento. Questi modelli operativi delle figure di attaccamento e di sé nella relazione riflettono la storia delle risposte genitoriali in termini di disponibilità, accessibilità e prontezza verso le richieste di sicurezza del bambino.
La Teoria dell’Attaccamento ha dato vita a numerose ricerche con lo scopo di definire i diversi stili di attaccamento, il collegamento fra questi stili e le strutture cognitive e di personalità dell’individuo, i processi cognitivi che vengono attivati durante le dinamiche di attaccamento.
Una delle ricercatrici più famose nel campo dell’attaccamento fu proprio Mary Ainsworth che elaborò una procedura sperimentale per individuare i diversi stili di attaccamento fra genitori e figli, la Strange Situation (Ainsworth, Blehar e altri, 1978; Ainsworth, 1985). Il bambino fra i 12 e i 18 mesi, accompagnato da una sola delle sue figure di attaccamento (madre o padre) viene introdotto in una stanza che vede per la prima volta. Uno sconosciuto accoglie genitore e bambino , dopo pochi minuti il genitore esce dalla stanza lasciando il bambino e si osservano le reazioni di quest’ultimo alla separazione. Trascorsi al massimo tre minuti il genitore rientra e si osservano le reazioni del bambino al ricongiungimento. Il comportamento del bambino alla separazione e al ricongiungimento descrive la forma assunta dalla relazione di attaccamento nel corso del primo anno di vita (Ainsworth, 1982; Ammaniti e Stern, 1992; Liotti, 1994). 
Alcuni bambini reagiscono a questa situazione con apparente indifferenza ma con una significativa attivazione fisiologica ipercontrollata e repressa dal bambino. Al momento della riunione questi bambini mantengono la loro indifferenza ed evitano il contatto con la figura di attaccamento. Questo pattern di attaccamento è stato definito “evitante”.
Altri bambini protestano vivacemente alla separazione dal genitore e lo continuano a cercare attivamente ma si calmano prontamente al momento della riunione. Questo pattern di attaccamento è stato definito “sicuro” perché il bambino pare determinato nella sua ricerca del genitore e sicuro della sua risposta al ricongiungimento.
Un terzo gruppo di bambini protestano vivacemente durante la separazione ma non si calmano e anzi continuano a protestare anche dopo la riunione nonostante l’abbraccio del genitore che dovrebbe calmare il disagio. Questo pattern viene chiamato “ambivalente” perché il bambino da un lato sembra desiderare la presenza della sua figura di attaccamento ma dall’altro sembra rifiutarne il conforto). 
Infine un quarto gruppo di bambini presenta una notevole disorganizzazione nel comportamento di attaccamento reagendo a separazione e riunione con comportamenti contraddittori, simultanei e in rapida successione, mostrando anche emozioni contrastanti come collera e amorosa attrazione. Questo pattern è stato definito “disorganizzato” perché esprime un evidente disorientamento del bambino di fronte agli eventi di separazione e riunione.
Bowlby afferma che questi schemi comportamentali sono stabili durante i primissimi anni di vita e in grado di predire come un bambino, dall’età di quattro anni e mezzo, si comporterà nei confronti di una persona estranea e affronterà un nuovo compito (Bowlby, 1988).
Sono stati studiati, con diversi metodi, gli atteggiamenti dei genitori correlati ai diversi stili di attaccamento dei bambini. Lo strumento più utilizzato attualmente è la Adult Attachment Interview di Mary Main (Main, 1990). Si tratta di un’intervista strutturata che valuta le proprietà di linguaggio, della memoria e del pensiero dell’adulto mentre riflette stimolato dalle domande sul proprio rapporto con i genitori e sul valore che si è formato circa le esigenze di attaccamento. Ai diversi stili di attaccamento corrispondono diversi profili genitoriali (dismissing, cioè svalutativo del bisogno di cura e attenzione; free, che esprime libertà di riflessione e ricordo della propria infanzia; entagle, ovvero ancora occupato a risolvere i conflitti inerenti la propria relazione di attaccamento; unresolved, caratterizzato dalla mancata elaborazione di traumi o lutti che hanno costellato la propria esperienza di attaccamento).
Il CARE-Index è uno strumento sviluppato da Crittenden tra il 1988 e il 1994 che permette di misurare la sensibilità dell’adulto nel cogliere i comportamenti del bambino e rispondere in modo da migliorare lo stato del bambino stesso e si basa sull’osservazione di un breve periodo(dai tre ai cinque minuti) di interazione di gioco libero  videoregistrato tra adulto e bambino con età dall’età di quattro settimane fino ai trentasei mesi.
La Teoria dell’Attaccamento di riferisce alla qualità della relazione fra il bambino e le sue figure di attaccamento che siano esse il padre o la madre. In “Una base sicura” Bowlby stesso dichiara che sia stata presa in causa moto più spesso la madre nelle fasi di ricerca perché è relativamente facile reclutare come soggetti d’esame bambini che sono accuditi principalmente dalla madre, mentre quelli accuditi dal padre sono assai pochi (Bowlby, 1988). In realtà Bowlby assegna un ruolo altrettanto importante al padre, con somiglianze e differenze da quello della madre.
Ricerche svolte da Main e Weston (1981) hanno dimostrato che in un gruppo di sessanta bambini, gli schemi di attaccamento nei confronti del padre erano molto simili a quelli mostrati nei confronti della madre. Un’ulteriore scoperta ha portato però alla luce che non esiste nessuna correlazione fra lo schema messo in atto nei confronti di un genitore e lo schema posto nei confronti dell’altro. È possibile quindi che un bambino abbia una relazione sicura con la madre e non con il padre o viceversa o che abbia una relazione sicura con tutti e due o con nessuno dei due. I bambini comunque con una relazione sicura nei confronti di ambedue i genitori erano i più fiduciosi in sé stessi e i più capaci.
Completando la riflessione della Ainsworth, Bowlby afferma chegli schemi che un bambino sviluppa riguardo al padre dipendano da come questi lo ha trattato. Egli, fornendo una figura di attaccamento per il figlio, può assumere un ruolo che assomiglia strettamente a quello materno. Nella maggioranza delle famiglie con bambini piccoli questo ruolo è diverso ma altrettanto importante con l’unica caratteristica dell’essere genitori: fornire al bambino una base sicura (Bowlby, 1988). 
A partire da queste ultime considerazioni, ricerche recenti hanno voluto dimostrare l’importanza del ruolo paterno nella relazione di attaccamento  e nello sviluppo di un bambino a partire già dai primissimi mesi di vita. Ronald Rohner, professore presso l’Università del Connecticut, dopo aver analizzato le ricerche realizzate a livello internazionale nell’ultimo mezzo secolo, ritiene si possa affermare che l’esperienza del rifiuto, soprattutto da parte dei genitori, durante l’età pediatrica ha un effetto molto forte sullo sviluppo della personalità. Inoltre, i bambini e gli adulti, indipendentemente dalle differenze di cultura e genere, tendono a rispondere esattamente allo stesso modo quando hanno percepito loro stessi come respinti dai loro caregiver e dalle altre figure di attaccamento.
Quando si tratta l’argomento dell’impatto dell’amore di un padre rispetto a quello di una madre, i risultati provenienti da più di 500 studi suggeriscono che i bambini sperimentano l’influenza del rifiuto da parte del padre come superiore rispetto a quello della madre. (tratto dall’articolo “L’amore paterno è fondamentale per lo sviluppo di una persona” , State of Mind, 2012). 
Da una ricerca finanziata dal Wellcome Trust sembrerebbe che i bambini i cui padri sono più positivamente coinvolti nelle interazioni con loro, a soli tre mesi di vita, mostrino meno problemi comportamentali all’età di dodici mesi. I ricercatori dell’Università di Oxford hanno pubblicato sul Journal of Child Psycology and Psychiatry, uno studio su 192 famiglie per verificare l’associazione tra le modalità interattive del padre nel primo periodo post-natale e il comportamento del bambino nei successivi 7 mesi. Dalla ricerca è emerso che i bambini i cui padri erano più coinvolti nell’interazione con loro mostrano minori problemi comportamentali a un anno di età; al contrario, i bambini i cui padri erano più distanzianti e meno interattivi, tendevano ad avere maggiori problemi comportamentali. (tratto da “Bambini: già dai tre mesi di vita quanto contano le interazioni con il papà” di L. Confalonieri, 2012). 
Dott. Adriano Zenilli 
Psicologo clinico e dell'Età Evolutiva 
BIBLIOGRAFIA 

John Bowlby, Attaccamento e perdita vol.1 (1989) Bollati Boringhieri 

John Bowlby, Attaccamento e perdita vol.2 (2000) Bollati Boringhieri 

John Bowlby, Attaccamento e perdita vol.3 (2000) Bollati Boringhieri 

John Bowlby, Costruzione e rottura dei legami affettivi (2007) Raffaello Cortina

John Bowlby, Una base sicura (1989) Raffaello Cortina

Mary D. Ainsworth, Modelli di attaccamento e sviluppo della personalità, Raffaello Cortina, Milano 2006

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Commenti: 1
  • #1

    salvatore incarbone psicologo e fisico (lunedì, 31 gennaio 2022 00:31)

    Si tratta di osservazioni empiriche e sperimentali fondamentali perché inoppugnabili ma sembra mancare un principio filosofico che guidi, interpreti la ricerca e ne preveda i possibili casi, gli sviluppi e gli esiti in funzione di opportuni parametri. A questo proposito osserverei che come si sa, Bowlby stesso non fu in grado di dimostrare una relazione di causa ed effetto fra deprivazione materna e conseguenze nefaste sul bambino giacché bimbi deprivati poi si riprendevano normalmente. Mi sembra necessaria la scoperta e l'introduzione di un principio teorico nuovo che ponga fine alla deriva della ricerca...