BULLISMO, DAI LUOGHI COMUNI ALLE AZIONI EFFICACI (a cura del dott. Adriano Zenilli)

Ad un incontro sul bullismo aperto ai genitori e insegnanti qualche anno fa, si alzò un signore e chiese di che cosa in realtà si stesse parlando, i prepotenti in fondo ci sono sempre stati e di prepotenze se ne compiono ogni giorno. Secondo questo signore la soluzione sarebbe stata molto semplice, insegnare a tutti i bambini perseguitati a fare a pugni e se non ne fossero stati capaci allora pazienza, dopotutto vanno avanti solo i più forti. “Cos’è per voi il bullismo?” abbiamo chiesto anche ai ragazzi nelle scuole? “É quando uno si crede più grande e se la prende con i più piccoli” è stata una delle risposte, oppure “quando uno è simpatico e fa gli scherzi, allora gli dicono “er bullo” è stata un’altra. In un incontro in classe, una prima media, durante un primo giro di opinioni venne fuori che il bullo è anche un personaggio simpatico, che fa ridere e che in fondo si da solo un po’ di arie, insomma “er bullo”. In un’altra occasioni mi ritrovai in una classe terza di una scuola media della provincia di Milano per parlare di bullismo e già dalla disposizione dei banchi ebbi l’impressione che qualcosa non andava. C’era una ragazzina in quella classe, guance paffute, occhiali e lunghi capelli lisci. Nello sguardo però nascondeva un misto fra tristezza e rabbia, e lo dimostrava pungolando e provocando chiunque le capitasse a tiro, con un sorrisetto di soddisfazione che si tramutava in un’espressione imbronciata quando sistematicamente per reazione veniva esclusa e isolata dall’intero gruppo classe. Mentre tutti i banchi erano sistemati a coppie, il suo era l’unico da solo, attaccato a quello dell’insegnante come un satellite alla deriva. Era talmente detestata dai suoi compagni di classe che tutti si rifiutavano di toccarla e una volta disposti in cerchio nessuno volle mettersi al suo fianco tant’è che attorno a lei ci fu il vuoto. Alla fine del’incontro mi feci raccontare da lei come viveva tutto questo e la ragazzina scoppiò in lacrime dicendo che quello era il periodo più brutto della sua vita, che non aveva amici, che tutti la odiavano e che l’unica cosa che la teneva viva era la speranza che l’anno successivo, in una nuova scuola e con nuovi compagni di classe le cose, chissà, magari sarebbero cambiate. L’insegnante parlandomi di lei mi riferisce che si è inserita a metà dell’anno nella loro scuola e che da subito ha mostrato segni di insofferenza verso i suoi compagni di classe con atteggiamenti provocatori e dispettosi. A mano a mano è stata quindi allontanata e ciò che le stava capitando, secondo l’insegnante, era tutto sommato la conseguenza delle sue azioni. Arriviamo poi a parlare dei recenti fatti di cronaca, l’aggressione del ragazzino di 12 anni ferito alla milza da due compagni di scuola a Crotone; lo studente disabile di Torino, deriso e picchiato dai compagni che lo riprendevano col telefonino; la ragazza marocchina di 17 anni perseguitata a scuola fino al punto di scappare di casa e scomparire per tre giorni. Questi sono solo alcuni dei casi recentemente portati alla ribalta nelle cronache dei quotidiani. Ma il fenomeno del bullismo non deve preoccupare solo quando diventa tragedia di portata nazionale perché in realtà nella maggior parte dei casi esso c’è ma non si vede. Qualcuno spiega il fenomeno mediante le teorie sulle famiglie sbandate e qualcun’altro responsabilizza la scuola che non insegna più certi valori. Vediamo quindi di capire di cosa si tratta e cosa si può fare per riconoscerlo e intervenire. Intanto, per cominciare, la definizione: “ il bullismo è un’azione che mira deliberatamente a fare del male o a danneggiare. Spesso è persistente ed è difficile difendersi per coloro che ne sono vittima ” (Sharp e Smith, 1995). Da qui le tre regole d’oro per distinguere tale fenomeno da altre forme di comportamento aggressivo e dalle semplici prepotenze: 1. il comportamento aggressivo, fisico, verbale o psicologico, viene messo in atto volontariamente e consapevolmente, con l’intenzione di arrecare danno; 2. sebbene anche un singolo episodio può essere considerato una forma di bullismo, in genere il comportamento aggressivo viene messo in atto più volte e si ripete quindi nel tempo ; 3. tra il bullo e la vittima c’è una differenza di potere , dovuta alla forza fisica, all’età o alla numerosità quando le aggressioni sono di gruppo, la vittima quindi spesso non è in grado di difendersi (Menesini, 2003; Iannacone, 2005). Da queste semplici indicazioni potremmo rispondere ad alcuni tra i luoghi comuni più diffusi sul bullismo, alcuni dei quali già espressi sopra, secondo i quali ad esempio: “ la vittima deve imparare a difendersi” (come abbiamo visto però la condizione non è di parità ma di disuguaglianza quindi chi subisce non può o non sa come difendersi) oppure “certe volte le vittime se lo meritano” (in questo modo quindi si legittima il bullismo come forma di giustizia nei confronti di chi da noia) o infine “non era una prepotenza, era solo una ragazzata” (questo è un buon metodo per rinforzare il comportamento aggressivo che oltre a non essere punito viene anche valutato simpaticamente come lo studente di prima quando citava “er bullo”). A proposito della frase “il bullismo c’è ma non si vede”, molti sono i casi in cui si crede che nella scuola in cui si insegna o in cui si manda il proprio figlio queste cose non possano avvenire. Questo accade perché si crede erroneamente che l’unica forma di bullismo sia quella fisica . In realtà oltre a questa, che gli esperti inseriscono nel bullismo diretto e che comprende azioni come picchiare, spingere, far cadere, calciare ecc. ne esistono altre. Nel bullismo verbale, forma sempre diretta, si utilizza la parola per recare danno alla vittima, ad esempio con offese o prese in giro insistenti e reiterate. Nel bullismo indiretto invece attraverso comportamenti non direttamente rivolti alla vittima, si giunge alla sua esclusione e al suo isolamento attraverso la diffusione ad esempio di pettegolezzi e dicerie oppure al rifiuto continuato di esaudire le sue richieste. Mentre il bullismo fisico è prevalente fra i maschi, quello indiretto lo è fra le femmine mentre quello verbale coinvolge tutti e due i sessi allo stesso modo. Con l’aumentare dell’età e del grado di scuola si passa da forme dirette a forme indirette di bullismo. Che fare allora ? Il bullismo è un fenomeno sociale e complesso e per essere compreso e affrontato è necessario un intervento che si rivolga a tutti i suoi protagonisti. Esistono diversi progetti di prevenzione al bullismo nelle scuole che prevedono la formazione degli insegnanti , si può prevenire il bullismo introducendo metodi didattici di tipo cooperativo , prevedendo percorsi di educazione affettiva , sostegno psicologico alle vittime, modelli di supporto fra pari . Le famiglie dal canto loro devono abbandonare ogni atteggiamento di delega e collaborare attivamente alla costruzione di una scuola a misura di ragazzo, colloquiando con gli insegnanti e stimolando un confronto sul grado di benessere dei figli oltre che sul livello didattico raggiunto. Vanno rinforzati , inoltre, tutti i comportamenti a favore della socialità con riconoscimenti di tipo affettivo, verbale e non solo materiale. Particolare attenzione va data a tutti quei segnali che potrebbero essere indicatori del problema : eccessiva timidezza, mancanza di amicizie significative, rifiuto di andare a scuola, isolamento nelle ore di ricreazione, richieste continue di denaro senza spiegazioni, sintomi psicosomatici (mal di testa, mal di pancia..) fino a segni evidenti e ripetuti di lotta (lividi, graffi..). Si dovrebbe evitare di bersagliare i figli di domande indiscrete e imbarazzanti, si potrebbe tuttavia aprire il discorso raccontando storie e aneddoti magari legati ad esperienze personali. L’importante è far sentire che se ne può parlare ed evitare di esprimere giudizi che inibirebbero il ragazzo o la ragazza. Purtroppo, o per fortuna, il bullismo non riguarda solo due persone che non si sopportano ma l’intero tessuto sociale che li circonda ed è solo agendo su questo che il fenomeno e non solo il singolo problema (che ne è solo la manifestazione) si potrà prevenire prima che diventi un fatto di cronaca.

Adriano Zenilli

BIBLIOGRAFIA

SHARP S., SMITH P.K. (1995), Bulli e prepotenti nella scuola. Prevenzione e tecniche educative, Erickson, Trento

D. OLWEUS (1996) “Bullismo a scuola. Ragazzi oppressi, ragazzi che opprimono” Giunti, Firenze.

E. MENESINI (2003) “Bullismo: le azioni efficaci nella scuola” Erickson, Trento.

A cura di NICOLA IANNACCONE (2005) “Stop al bullismo. Strategie per ridurre i comportamenti aggressivi e passivi a scuola” La meridiana, Bari.

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